Predators
Trama:
Su un pianeta lontano la razza dei Predator ha creato il suo Colosseo senza pubblico. Raccolgono e ammassano esemplari di altre razze (per quanto ne sappiamo più che altro umani), li gettano nella foresta senza spiegazioni e gli danno la caccia apprendendo da loro tecniche e strategie. Quando sul pianeta arriva un gruppo eterogeneo composto da guerriglieri, soldati e mercenari, tutti a modo loro dei predatori nella loro vita terrestre, la faccenda si complica perchè pur non conoscendosi collaboreranno al fine di evitare di cadere vittime e tornare sul pianeta d'origine.
Arrivata al quinto film la saga di Predator, diventata tale solo negli ultimi anni in virtù di una serie di sequel non autorizzati, blandamente attesi e male accolti dagli appassionati, sembra ritrovare lo smalto originale. Dopo un sequel urbano e due altri film in cui addirittura si tentava il crossover con un'altra saga di carattere alieno ora, grazie alla coerenza di Robert Rodriguez si torna al vero senso della storia: raccontare una storia di giungla e caccia, di umanità e nemici nell'ombra.
Sebbene negli ultimi anni i progetti nostalgici di Rodriguez non abbiano sempre brillato per autonomia rispetto ai modelli ricalcati, questa volta, anche in virtù della scelta (forzata) di abdicare il ruolo di regista ad un abilissimo mestierante quale è Nimrod Antal, il risultato è al di là di ogni aspettativa. Predators individua la giusta distanza dal modello originale, ne comprende la forza immediata e l'importanza della presenza fisica dei personaggi ma non lo replica pedissequamente, ne cita score e sequenze cardine ma riuscendo a farne un uso diverso, porta avanti la mitologia interna della saga ma senza dimenticare il motivo per il quale in origine si è raccontata quella storia.
Con una macchina da presa dalla mobilità insolitamente controllata per il genere, Nimrod Antal dimostra di avere qualcosa da dire e di volerlo fare con la messa in scena. Non pone l'accento nè sui protagonisti, nè sui (ben più venerati) cattivi della serie ma sul contesto: la foresta, il pianeta alieno, l'assedio, il predatore che, diventato preda, è costretto ad una caccia inversa. Il risultato è che il film non sembra farsi troppe domande, come è giusto che sia, parte con un attacco fulminante (i migliori primi 120 secondi degli ultimi 10 anni), che è subito una dichiarazione d'intenti, e finisce aprendo a possibili sequel; pretende un aumento di massa muscolare da Adrien Brody e poi lo schiaccia contro gli elementi della natura, lo priva progressivamente delle armi, dei compagni e delle tecnologie ma non opera quella regressione allo stato animale attraverso la quale McTiernan scovava l'elemento umano primigenio e il succo del conflitto con l'alieno, inteso come "altro".
Visti i risultati e l'indubbia bravura nell'assemblare forze e talenti (Brody è insospettabilmente perfetto), forse Robert Rodriguez dovrebbe dedicarsi anima e corpo al mestiere di produttore.
Su un pianeta lontano la razza dei Predator ha creato il suo Colosseo senza pubblico. Raccolgono e ammassano esemplari di altre razze (per quanto ne sappiamo più che altro umani), li gettano nella foresta senza spiegazioni e gli danno la caccia apprendendo da loro tecniche e strategie. Quando sul pianeta arriva un gruppo eterogeneo composto da guerriglieri, soldati e mercenari, tutti a modo loro dei predatori nella loro vita terrestre, la faccenda si complica perchè pur non conoscendosi collaboreranno al fine di evitare di cadere vittime e tornare sul pianeta d'origine.
Arrivata al quinto film la saga di Predator, diventata tale solo negli ultimi anni in virtù di una serie di sequel non autorizzati, blandamente attesi e male accolti dagli appassionati, sembra ritrovare lo smalto originale. Dopo un sequel urbano e due altri film in cui addirittura si tentava il crossover con un'altra saga di carattere alieno ora, grazie alla coerenza di Robert Rodriguez si torna al vero senso della storia: raccontare una storia di giungla e caccia, di umanità e nemici nell'ombra.
Sebbene negli ultimi anni i progetti nostalgici di Rodriguez non abbiano sempre brillato per autonomia rispetto ai modelli ricalcati, questa volta, anche in virtù della scelta (forzata) di abdicare il ruolo di regista ad un abilissimo mestierante quale è Nimrod Antal, il risultato è al di là di ogni aspettativa. Predators individua la giusta distanza dal modello originale, ne comprende la forza immediata e l'importanza della presenza fisica dei personaggi ma non lo replica pedissequamente, ne cita score e sequenze cardine ma riuscendo a farne un uso diverso, porta avanti la mitologia interna della saga ma senza dimenticare il motivo per il quale in origine si è raccontata quella storia.
Con una macchina da presa dalla mobilità insolitamente controllata per il genere, Nimrod Antal dimostra di avere qualcosa da dire e di volerlo fare con la messa in scena. Non pone l'accento nè sui protagonisti, nè sui (ben più venerati) cattivi della serie ma sul contesto: la foresta, il pianeta alieno, l'assedio, il predatore che, diventato preda, è costretto ad una caccia inversa. Il risultato è che il film non sembra farsi troppe domande, come è giusto che sia, parte con un attacco fulminante (i migliori primi 120 secondi degli ultimi 10 anni), che è subito una dichiarazione d'intenti, e finisce aprendo a possibili sequel; pretende un aumento di massa muscolare da Adrien Brody e poi lo schiaccia contro gli elementi della natura, lo priva progressivamente delle armi, dei compagni e delle tecnologie ma non opera quella regressione allo stato animale attraverso la quale McTiernan scovava l'elemento umano primigenio e il succo del conflitto con l'alieno, inteso come "altro".
Visti i risultati e l'indubbia bravura nell'assemblare forze e talenti (Brody è insospettabilmente perfetto), forse Robert Rodriguez dovrebbe dedicarsi anima e corpo al mestiere di produttore.