Letters to Juliet
Trama:
Sophie è una brava giornalista, in cerca dello scoop per emergere e ottenere la fiducia del direttore. Quando decide di concedersi un viaggio in Italia con il futuro sposo, prossimo all'apertura del suo nuovo ristorante, si ritrova presto sola, a vagabondare per Verona mentre lui si cura solo di prosciutti e formaggi. Nel cortile della casa di Giulietta Capuleti, Sophie trova la lettera d'amore di una tale Claire per il suo Lorenzo, depositata 50 anni prima e rimasta nascosta tra le pietre del muro. Intenerita, l'americana risponde ed ecco presentarsi a Verona la vecchia Claire, in compagnia del bel nipote, Charlie. È l'occasione per il servizio che cercava, ma anche l'inizio di un'avventura romantica che non risparmierà niente e nessuno.
“Romcom” sfacciata, sulle spoglie della tragedia delle tragedie, Letters to Juliet ha l'unico grande difetto di prendersi troppo sul serio. Mosso dall'ingordigia di volersi accaparrare il pubblico tra i 10 e i 100 anni, il film procede verso la sua felice e scontata conclusione con la determinazione di una macchina da guerra, accumulando drammi personali e ostacoli raffazzonati, rifiutando il sorriso e fingendo fino all'ultimo la possibilità d'imbattersi in una delusione epocale che - è lampante - non avrà mai il coraggio di riservarci. Stare al gioco, perciò, non è sempre facile o divertente. Gli attori recitano la loro commedia - la tormentata, l'insensibile, il bel tenebroso, la sognatrice incallita, l'amore sfuggente - ma noi, che credevamo di essere andati al cinema, vorremmo tanto che il loro essere sotto contratto fosse un po' meno evidente.
I dialoghi non aiutano, indubbiamente sprovvisti del patrocinio del bardo, mentre le vedute bucoliche della fertile Toscana compiaceranno probabilmente più i palati esteri che quelli nostrani, che nelle tavolate all'ombra dell'antico casale ormai vedono solo la replica di una pubblicità di qualche vino.
Vanessa Redgrave e Franco Nero passeggiano mano nella mano come fanno nella vita e come non facevano sullo schermo dai tempi di Camelot, più di 40 anni or sono. Da soli, sono già una storia più interessante di quella che ci ha raccontato Gary Winick.
Sophie è una brava giornalista, in cerca dello scoop per emergere e ottenere la fiducia del direttore. Quando decide di concedersi un viaggio in Italia con il futuro sposo, prossimo all'apertura del suo nuovo ristorante, si ritrova presto sola, a vagabondare per Verona mentre lui si cura solo di prosciutti e formaggi. Nel cortile della casa di Giulietta Capuleti, Sophie trova la lettera d'amore di una tale Claire per il suo Lorenzo, depositata 50 anni prima e rimasta nascosta tra le pietre del muro. Intenerita, l'americana risponde ed ecco presentarsi a Verona la vecchia Claire, in compagnia del bel nipote, Charlie. È l'occasione per il servizio che cercava, ma anche l'inizio di un'avventura romantica che non risparmierà niente e nessuno.
“Romcom” sfacciata, sulle spoglie della tragedia delle tragedie, Letters to Juliet ha l'unico grande difetto di prendersi troppo sul serio. Mosso dall'ingordigia di volersi accaparrare il pubblico tra i 10 e i 100 anni, il film procede verso la sua felice e scontata conclusione con la determinazione di una macchina da guerra, accumulando drammi personali e ostacoli raffazzonati, rifiutando il sorriso e fingendo fino all'ultimo la possibilità d'imbattersi in una delusione epocale che - è lampante - non avrà mai il coraggio di riservarci. Stare al gioco, perciò, non è sempre facile o divertente. Gli attori recitano la loro commedia - la tormentata, l'insensibile, il bel tenebroso, la sognatrice incallita, l'amore sfuggente - ma noi, che credevamo di essere andati al cinema, vorremmo tanto che il loro essere sotto contratto fosse un po' meno evidente.
I dialoghi non aiutano, indubbiamente sprovvisti del patrocinio del bardo, mentre le vedute bucoliche della fertile Toscana compiaceranno probabilmente più i palati esteri che quelli nostrani, che nelle tavolate all'ombra dell'antico casale ormai vedono solo la replica di una pubblicità di qualche vino.
Vanessa Redgrave e Franco Nero passeggiano mano nella mano come fanno nella vita e come non facevano sullo schermo dai tempi di Camelot, più di 40 anni or sono. Da soli, sono già una storia più interessante di quella che ci ha raccontato Gary Winick.