The Last Station
Trama:
Nel 1908 Lev Tolstoj è il romanziere più famoso di Russia e l'ispiratore di una dottrina etica di austerità e pacifismo. Promotore di questo culto è l'intellettuale Vladimir Chertkov, confidente personale del grande scrittore che, per vigilare su di lui e convincerlo a devolvere i diritti dei suoi illustri romanzi all'intero popolo russo, gli affida come segretario personale un suo giovane fidato, il casto e timorato Valentin Bulgakov. Questi, una volta giunto nella tenuta nobiliare dello scrittore, viene colpito dalla vitalità del suo assistito e dalla passione che lo coglie per la giovane ed emancipata Masha. Ma la sfida più grande è quella che viene a crearsi con la contessa Sofja, da più di cinquant'anni moglie, musa e assistente dello scrittore, in guerra contro Chertkov per le prodighe intenzioni del marito.
Da coloro che hanno raccontato le più tragiche e intense storie d'amore della storia della letteratura, il cinema si aspetta sempre biografie dense di grandi amori capaci di consumarli al pari dei loro personaggi. L'abbraccio di eros e thanatos non può risparmiare coloro che per primi hanno contribuito al loro inesorabile intreccio e non può quindi dimenticare una figura come Tolstoj, colui che nella vita ha professato l'amore come base per la serenità umana. In The Last Station, l'amore è dappertutto, non solo nel rapporto fra lo scrittore e il grande amore della sua vita, la contessa Sofja Andreyevna, ma anche nell'iniziazione sessuale del giovane adepto Valentin. Ed è sempre nel nome dell'amore che si affronta lo scontro fra la stessa contessa e l'epigono Chertkov. Hoffman, e prima di lui il libro di Jay Parini, si schiera con le ragioni della contessa, descrivendo Chertkov come un manipolatore goffo ed egoista, accecato dai presupposti della sua stessa filosofia. Una visione senza dubbio parziale, che vorrebbe trovare le ragioni del suo aperto schierarsi nell'amour fou di un personaggio femminile descritto come una vera eroina tolstojana. E che invece, per colpa di una regia tanto tradizionalista quanto fredda e di un accavallarsi di storie e personaggi non risolutivi (la storia d'amore fra Valentin e Masha; il "tradimento" della figlia Sasha nei confronti della madre), fa apparire la contessa come una nobile capricciosa che non vuol rinunciare al proprio benessere più che come una donna che agisce per amore disinteressato. Tanto più che quello per cui si batte non è un romantico confronto dei sentimenti ma uno scontro di diritti, di etica e di economia, dove può apparire contraddittorio schierarsi contro chi teoricamente agisce in nome della proprietà universale di un'opera culturale.
Michael Hoffman è un regista che ama particolarmente dare una patina vintage al proprio lavoro e che ha già dimostrato di avere più successo quando si confronta con una materia prettamente cinematografica (le screwball comedies in Un giorno per caso o le soap opera in Bolle di sapone ), piuttosto che con quella storica ( Restoration ) o letteraria ( Sogno di una notte di mezza estate ). Con The Last Station conferma il teorema, ritraendo un Tolstoj più vicino a quello muto delle vecchie prises de vue che chiudono il film che a uno dei grandi personaggi del romanzo russo ottocentesco.
Da coloro che hanno raccontato le più tragiche e intense storie d'amore della storia della letteratura, il cinema si aspetta sempre biografie dense di grandi amori capaci di consumarli al pari dei loro personaggi. L'abbraccio di eros e thanatos non può risparmiare coloro che per primi hanno contribuito al loro inesorabile intreccio e non può quindi dimenticare una figura come Tolstoj, colui che nella vita ha professato l'amore come base per la serenità umana. In The Last Station, l'amore è dappertutto, non solo nel rapporto fra lo scrittore e il grande amore della sua vita, la contessa Sofja Andreyevna, ma anche nell'iniziazione sessuale del giovane adepto Valentin. Ed è sempre nel nome dell'amore che si affronta lo scontro fra la stessa contessa e l'epigono Chertkov. Hoffman, e prima di lui il libro di Jay Parini, si schiera con le ragioni della contessa, descrivendo Chertkov come un manipolatore goffo ed egoista, accecato dai presupposti della sua stessa filosofia. Una visione senza dubbio parziale, che vorrebbe trovare le ragioni del suo aperto schierarsi nell'amour fou di un personaggio femminile descritto come una vera eroina tolstojana. E che invece, per colpa di una regia tanto tradizionalista quanto fredda e di un accavallarsi di storie e personaggi non risolutivi (la storia d'amore fra Valentin e Masha; il "tradimento" della figlia Sasha nei confronti della madre), fa apparire la contessa come una nobile capricciosa che non vuol rinunciare al proprio benessere più che come una donna che agisce per amore disinteressato. Tanto più che quello per cui si batte non è un romantico confronto dei sentimenti ma uno scontro di diritti, di etica e di economia, dove può apparire contraddittorio schierarsi contro chi teoricamente agisce in nome della proprietà universale di un'opera culturale.
Michael Hoffman è un regista che ama particolarmente dare una patina vintage al proprio lavoro e che ha già dimostrato di avere più successo quando si confronta con una materia prettamente cinematografica (le screwball comedies in Un giorno per caso o le soap opera in Bolle di sapone ), piuttosto che con quella storica ( Restoration ) o letteraria ( Sogno di una notte di mezza estate ). Con The Last Station conferma il teorema, ritraendo un Tolstoj più vicino a quello muto delle vecchie prises de vue che chiudono il film che a uno dei grandi personaggi del romanzo russo ottocentesco.