Il padre dei miei figli
Trama:
Grégoire Canvel ha tutto. Una donna che lo ama, tre figlie deliziose, un mestiere che lo appassiona. Fa il produttore cinematografico e al suo lavoro dedica tutto il tempo e le energie. La famiglia ne risente ma lo comprende. Ha carisma, Grégoire. Ha prodotto tanti film, preso molti rischi e accumulato debiti. La sua Moon Film è sull'orlo del fallimento. Lui resiste ad ogni costo ma lo scacco è evidente, il danno irreparabile. Spalle al muro, sceglie di uscire di scena con un gesto estremo e nessuna spiegazione. Agli altri, ancora una volta, il compito di capire.
Al secondo lungometraggio, dopo Tout est pardonné, Mia Hansen-Løve, classe 1981, un passato da attrice per Assayas e un'esperienza di scrittura ai Cahiers, racconta una figura umana, quella di Humbert Balsan, produttore illuminato, suicida nel 2005. La sua conoscenza di Balsan non è tale da obbligarla alla fedeltà, per cui la regista inventa, immagina, a partire da alcune impressioni (la moglie nel suo studio, il giorno dopo la tragedia) e da una contraddizione di forte impatto tra la vitalità del soggetto in questione e il suo atto mortifero.
Ne esce un film sul mondo del cinema indipendente, estremamente preciso nell'affresco, che esclude ogni vaghezza. In particolar modo, un film su ciò che precede l'inizio delle riprese: l'innamoramento per il copione, la decisione di farlo, i tentativi di farlo crescere nelle migliori condizioni possibili, secondo il desiderio del regista. Quasi il regista fosse una madre e il produttore un padre, che deve trovare i soldi, garantire l'esistenza del figlio; non si prenderà il merito dell'esito artistico ma avrà accresciuto la sua famiglia. Il titolo, d'altronde, parla senza mezzi termini: Il padre dei miei figli sta per l'uomo che ha reso possibile i film della regista (fu il primo a credere nel suo lungometraggio d'esordio) e non solo i suoi.
Dal punto di vista formale il film tenta movimenti interessanti, dedicando all'iper presenza del protagonista la prima ora di film e alla sua assenza l'ora che resta e passando il testimone con grande fluidità dall'uomo alla moglie e poi alla figlia maggiore, nell'intenzione di consegnare un'idea di crescita e di continuazione, anziché di arresto. Purtroppo non basta. Il padre dei miei figli manca di forza, si assesta su una costruzione tutto sommato standard, con una regia senza invenzioni e una sceneggiatura troppo pudica, leggerissima, al limite dell'inconsistenza.
Louis-Do de Lencquesaing, eccellente nei panni di Grégoire, aristocratico nel gesto, debole e complesso nello spirito, fa sentire la sua mancanza quando non c'è. In questo, bisogna ammetterlo, il film centra il bersaglio.
Al secondo lungometraggio, dopo Tout est pardonné, Mia Hansen-Løve, classe 1981, un passato da attrice per Assayas e un'esperienza di scrittura ai Cahiers, racconta una figura umana, quella di Humbert Balsan, produttore illuminato, suicida nel 2005. La sua conoscenza di Balsan non è tale da obbligarla alla fedeltà, per cui la regista inventa, immagina, a partire da alcune impressioni (la moglie nel suo studio, il giorno dopo la tragedia) e da una contraddizione di forte impatto tra la vitalità del soggetto in questione e il suo atto mortifero.
Ne esce un film sul mondo del cinema indipendente, estremamente preciso nell'affresco, che esclude ogni vaghezza. In particolar modo, un film su ciò che precede l'inizio delle riprese: l'innamoramento per il copione, la decisione di farlo, i tentativi di farlo crescere nelle migliori condizioni possibili, secondo il desiderio del regista. Quasi il regista fosse una madre e il produttore un padre, che deve trovare i soldi, garantire l'esistenza del figlio; non si prenderà il merito dell'esito artistico ma avrà accresciuto la sua famiglia. Il titolo, d'altronde, parla senza mezzi termini: Il padre dei miei figli sta per l'uomo che ha reso possibile i film della regista (fu il primo a credere nel suo lungometraggio d'esordio) e non solo i suoi.
Dal punto di vista formale il film tenta movimenti interessanti, dedicando all'iper presenza del protagonista la prima ora di film e alla sua assenza l'ora che resta e passando il testimone con grande fluidità dall'uomo alla moglie e poi alla figlia maggiore, nell'intenzione di consegnare un'idea di crescita e di continuazione, anziché di arresto. Purtroppo non basta. Il padre dei miei figli manca di forza, si assesta su una costruzione tutto sommato standard, con una regia senza invenzioni e una sceneggiatura troppo pudica, leggerissima, al limite dell'inconsistenza.
Louis-Do de Lencquesaing, eccellente nei panni di Grégoire, aristocratico nel gesto, debole e complesso nello spirito, fa sentire la sua mancanza quando non c'è. In questo, bisogna ammetterlo, il film centra il bersaglio.