The Box
Trama:
Richard Kelly aveva stupito al suo esordio con un film affascinante e inafferrabile come Donnie Darko. Poi si era un po’ perso con un’opera ambiziosa e in parte irrisolta, Southland Tales. Dopo il flop commerciale di Southland Tales, The Box sembra essere un run for cover, una ricerca di qualcosa di familiare e affine, ma nello stesso tempo accattivante per il pubblico, basato su un’idea forte e di sicura presa. Lo spunto viene da un fulminante racconto di Richard Matheson, maestro dell’horror e dell’insolito, capace di creare incubi apocalittici come Io sono leggenda e sottili parabole paranoiche in innumerevoli racconti che talvolta hanno dato origine a indimenticabili episodi della serie televisiva Ai confini della realtà.
Per noi italiani, l’idea di partenza è familiare per la commedia musicale "Un mandarino per Teo" (diventata anche un film di Mario Mattoli del 1960), ma ha origini ancora più antiche, tra rimandi letterari vari. Resta il fatto che lo spunto è brillante e si presta a più di qualche osservazione sul rapporto che lega la natura umana al desiderio di ricchezza.
Arlington Steward è misteriosamente resuscitato in ospedale dopo essere stato colpito da un fulmine e, costruito un apparecchio dallo scopo ignoto, se n’è andato. Virginia, 1976. Prima dell’alba il campanello di casa Lewis suona svegliando i coniugi Norma e Arthur. Aperta la porta, Norma trova un pacchetto. Si sveglia anche il figlioletto Walter, incuriosito. Nel pacchetto c’è una strana scatola e un biglietto: il signor Steward chiamerà alle cinque del pomeriggio. Arthur lavora a un progetto della Nasa - il Viking è atterrato su Marte - ed è totalmente preso dal lavoro. Norma, insegnante, è alle prese con altri problemi ed è sola in casa quando arriva puntuale il signor Steward, con il volto in parte sfigurato dal suo incontro ravvicinato con il fulmine. Spiega a Norma che se preme il pulsante che sovrasta la scatola provocherà la morte di uno sconosciuto e guadagnerà un milione di dollari. Se invece rinuncerà a premerlo, riceverà cento dollari per il disturbo. Ventiquattro ore per decidere. Norma ha un problema a un piede causato da quello che oggi si definirebbe un caso di malasanità, mentre Arthur viene rifiutato come astronauta. Entrambi hanno quindi motivi per avercela con la sorte. Davanti a loro una decisione assurda che però prendono sempre più sul serio, tentati dal denaro e dalla voglia di scoprire la verità. Dopo tanto parlare, Norma preme il pulsante quasi d’impulso. Ma questo è solo l’inizio.
Inquietanti bizzarrie e suggestive stranezze sono disseminate per tutto il film a dare un tono singolare alla vicenda. Frank Langella, con il volto mezzo mangiato, è una presenza sinistramente toccante resa ancora più significativa dalla recitazione urbana e contenuta dell’attore. Il dilemma e il problema etico sono però affrontati dal film con un tono banale che non aiuta a valorizzarne la portata e non ne accresce la drammaticità. Il miraggio della ricchezza può corrompere chiunque, ma questa non è una novità. Una famiglia tutto sommato benestante - con qualche problema, ma chi non ne ha? - cede alle lusinghe dei soldi per soddisfare bisogni che potrebbe affrontare diversamente, come il plantare speciale ideato da Arthur per Norma dimostra. Ed è proprio questo il punto del film, che si allarga verso una riflessione più ampia. Quella che sembrava una “semplice” questione morale individuale - prendere la vita di uno sconosciuto in cambio di molti soldi - si rivela qualcosa di più complesso. Il clima si fa progressivamente sempre più angoscioso. Indizi e trabocchetti si moltiplicano in una situazione nella quale anche la solidarietà tra i coniugi sembra incrinarsi.
La paranoia tipicamente mathesoniana prende possesso del film, con i protagonisti circondati da allusioni, minacce, inquietudini che invadono improvvisamente il tranquillo contesto in cui sono abituati a vivere. Tutti sembrano nascondere qualcosa, la città sembra percorsa da una cospirazione globale. Fidati solo di te stesso, è la filosofia, ma a volte nemmeno quello è sufficiente. Il tutto immerso in un periodo storico preciso, che ci sembra lontano, con le sue speranze e le sue pulsioni verso lo spazio esterno. Però il dramma non riesce a superare la barriera di un’esteriorità schematica e a far sentire il problema morale come vero e vivo. Qualche spunto metafisico cade un po’ piatto nel calderone di sottintesi e sottotesti a cercare di complicare qualcosa che resta nella sostanza sin troppo lineare. Il clima narrativo sa di artificioso e la vicenda non propone soluzioni finali di particolare inventiva. Questo è in fondo il difetto principale di un film che mette molta carne al fuoco e crea un clima di angoscioso mistero, ma poi non sa risolverlo se non nel modo più semplice.
Richard Kelly aveva stupito al suo esordio con un film affascinante e inafferrabile come Donnie Darko. Poi si era un po’ perso con un’opera ambiziosa e in parte irrisolta, Southland Tales. Dopo il flop commerciale di Southland Tales, The Box sembra essere un run for cover, una ricerca di qualcosa di familiare e affine, ma nello stesso tempo accattivante per il pubblico, basato su un’idea forte e di sicura presa. Lo spunto viene da un fulminante racconto di Richard Matheson, maestro dell’horror e dell’insolito, capace di creare incubi apocalittici come Io sono leggenda e sottili parabole paranoiche in innumerevoli racconti che talvolta hanno dato origine a indimenticabili episodi della serie televisiva Ai confini della realtà.
Per noi italiani, l’idea di partenza è familiare per la commedia musicale "Un mandarino per Teo" (diventata anche un film di Mario Mattoli del 1960), ma ha origini ancora più antiche, tra rimandi letterari vari. Resta il fatto che lo spunto è brillante e si presta a più di qualche osservazione sul rapporto che lega la natura umana al desiderio di ricchezza.
Arlington Steward è misteriosamente resuscitato in ospedale dopo essere stato colpito da un fulmine e, costruito un apparecchio dallo scopo ignoto, se n’è andato. Virginia, 1976. Prima dell’alba il campanello di casa Lewis suona svegliando i coniugi Norma e Arthur. Aperta la porta, Norma trova un pacchetto. Si sveglia anche il figlioletto Walter, incuriosito. Nel pacchetto c’è una strana scatola e un biglietto: il signor Steward chiamerà alle cinque del pomeriggio. Arthur lavora a un progetto della Nasa - il Viking è atterrato su Marte - ed è totalmente preso dal lavoro. Norma, insegnante, è alle prese con altri problemi ed è sola in casa quando arriva puntuale il signor Steward, con il volto in parte sfigurato dal suo incontro ravvicinato con il fulmine. Spiega a Norma che se preme il pulsante che sovrasta la scatola provocherà la morte di uno sconosciuto e guadagnerà un milione di dollari. Se invece rinuncerà a premerlo, riceverà cento dollari per il disturbo. Ventiquattro ore per decidere. Norma ha un problema a un piede causato da quello che oggi si definirebbe un caso di malasanità, mentre Arthur viene rifiutato come astronauta. Entrambi hanno quindi motivi per avercela con la sorte. Davanti a loro una decisione assurda che però prendono sempre più sul serio, tentati dal denaro e dalla voglia di scoprire la verità. Dopo tanto parlare, Norma preme il pulsante quasi d’impulso. Ma questo è solo l’inizio.
Inquietanti bizzarrie e suggestive stranezze sono disseminate per tutto il film a dare un tono singolare alla vicenda. Frank Langella, con il volto mezzo mangiato, è una presenza sinistramente toccante resa ancora più significativa dalla recitazione urbana e contenuta dell’attore. Il dilemma e il problema etico sono però affrontati dal film con un tono banale che non aiuta a valorizzarne la portata e non ne accresce la drammaticità. Il miraggio della ricchezza può corrompere chiunque, ma questa non è una novità. Una famiglia tutto sommato benestante - con qualche problema, ma chi non ne ha? - cede alle lusinghe dei soldi per soddisfare bisogni che potrebbe affrontare diversamente, come il plantare speciale ideato da Arthur per Norma dimostra. Ed è proprio questo il punto del film, che si allarga verso una riflessione più ampia. Quella che sembrava una “semplice” questione morale individuale - prendere la vita di uno sconosciuto in cambio di molti soldi - si rivela qualcosa di più complesso. Il clima si fa progressivamente sempre più angoscioso. Indizi e trabocchetti si moltiplicano in una situazione nella quale anche la solidarietà tra i coniugi sembra incrinarsi.
La paranoia tipicamente mathesoniana prende possesso del film, con i protagonisti circondati da allusioni, minacce, inquietudini che invadono improvvisamente il tranquillo contesto in cui sono abituati a vivere. Tutti sembrano nascondere qualcosa, la città sembra percorsa da una cospirazione globale. Fidati solo di te stesso, è la filosofia, ma a volte nemmeno quello è sufficiente. Il tutto immerso in un periodo storico preciso, che ci sembra lontano, con le sue speranze e le sue pulsioni verso lo spazio esterno. Però il dramma non riesce a superare la barriera di un’esteriorità schematica e a far sentire il problema morale come vero e vivo. Qualche spunto metafisico cade un po’ piatto nel calderone di sottintesi e sottotesti a cercare di complicare qualcosa che resta nella sostanza sin troppo lineare. Il clima narrativo sa di artificioso e la vicenda non propone soluzioni finali di particolare inventiva. Questo è in fondo il difetto principale di un film che mette molta carne al fuoco e crea un clima di angoscioso mistero, ma poi non sa risolverlo se non nel modo più semplice.