Afterschool
Trama:
Studente di un'esclusiva high school della East Coast americana, Robert è un adolescente che vive isolato e dissociato dal mondo inquieto e falsamente perbenista che lo circonda. Condivide la stanza con Dave, spacciatore di droghe e alcol del liceo, e con un computer con il quale trascorre la maggior parte del suo tempo a scaricare tutti i brevi filmati postati in rete. L'interesse per il mondo dei video lo porta a iscriversi al corso di audiovisivi, dove viene incaricato di realizzare un progetto sulla scuola. Mentre si trova da solo a filmare uno dei corridoi dell'edificio, riprende le due ragazze più popolari dell'istituto in preda ad un'emorragia causata da una sniffata di cocaina contaminata con veleno per topi. La scena segna in modo indelebile la mente di Robert e mina le apparenze dell'intera istituzione scolastica.
Quasi sempre funzionali all'interno di un film come supporto narrativo o come mero esibizionismo tecnologico, i filmati a bassa definizione della rete hanno in realtà riconfigurato i confini dell'estetica cinematografica non meno di quanto abbiano rivoluzionato la sociologia dei nuovi media. Fino a questo momento, i discorsi più interessanti in proposito erano stati elaborati soprattutto ai confini del film di genere (in modo particolare con Redacted di De Palma).
Afterschool, invece, affronta questa tematica ineludibile con uno sguardo da autore indipendente rivolto direttamente a quel mondo che è principale produttore e fruitore del piccolo formato: l'adolescenza. Non a caso, Antonio Campos comincia lavorando su quella vertigine che investe l'universo degli adolescenti nel loro rapporto con le immagini già affrontata da Gus Van Sant con Elephant, con la differenza che, anziché sugli universi di sintesi e di interazione dei videogiochi, Campos riflette su quelli liminari alla realtà che vengono patrocinati dai piccoli formati di YouTube, dagli home movies familiari, dai porno in soggettiva, dalla violenza esplosiva e fascinatoria del quotidiano.
Il suo modo di girare, le lunghe panoramiche quasi “automatiche”, i difetti del fuoco, il sonoro ovattato, tendono a chiamare un'identificazione privilegiata col giovane Robert e con le modalità con cui fa esperienza del mondo. Robert è un personaggio che, come molti adolescenti, anela la realtà ma è incapace di confrontarsi con essa, per questo cammina sul labile confine fra reale e realismo, fra il mondo che gli sta intorno, tanto chiaro agli occhi quanto oscuro nelle dinamiche, e quello fruito attraverso la rete, dove, al contrario, la brutale evidenza del contenuto soppianta la chiarezza dell'immagine.
Solo le esperienze dirette della morte e del sesso (accomunate nella visione del sangue) lo portano ad oltrepassare il filtro della videocamera e a cercare di comprendere da sé la realtà che lo circonda e l'ipocrisia del mondo degli adulti dell'Uptown newyorkese. Nel passaggio, anche la riflessione del giovane regista newyorkese si fa più complessa, stratificando, non senza qualche caduta nella sociologia più spicciola, il discorso sulla dissociazione del voyeurismo dei nuovi media con il turbamento adolescenziale e con la corruzione e l'arrivismo dell'istituzione scolastica. Problematiche di varia natura e dalla mole ingombrante, che tuttavia lasciano emergere il filo rosso di una riflessione fondamentale sullo statuto dell'immagine cinematografica: se cioè il cinema sia ancora in grado di competere coi nuovi media nel configurare e veicolare il reale, oppure se sia ormai solo il luogo delle celebrazioni melliflue, delle asperità da lisciare, delle sgranature della realtà da raffinare.
Quasi sempre funzionali all'interno di un film come supporto narrativo o come mero esibizionismo tecnologico, i filmati a bassa definizione della rete hanno in realtà riconfigurato i confini dell'estetica cinematografica non meno di quanto abbiano rivoluzionato la sociologia dei nuovi media. Fino a questo momento, i discorsi più interessanti in proposito erano stati elaborati soprattutto ai confini del film di genere (in modo particolare con Redacted di De Palma).
Afterschool, invece, affronta questa tematica ineludibile con uno sguardo da autore indipendente rivolto direttamente a quel mondo che è principale produttore e fruitore del piccolo formato: l'adolescenza. Non a caso, Antonio Campos comincia lavorando su quella vertigine che investe l'universo degli adolescenti nel loro rapporto con le immagini già affrontata da Gus Van Sant con Elephant, con la differenza che, anziché sugli universi di sintesi e di interazione dei videogiochi, Campos riflette su quelli liminari alla realtà che vengono patrocinati dai piccoli formati di YouTube, dagli home movies familiari, dai porno in soggettiva, dalla violenza esplosiva e fascinatoria del quotidiano.
Il suo modo di girare, le lunghe panoramiche quasi “automatiche”, i difetti del fuoco, il sonoro ovattato, tendono a chiamare un'identificazione privilegiata col giovane Robert e con le modalità con cui fa esperienza del mondo. Robert è un personaggio che, come molti adolescenti, anela la realtà ma è incapace di confrontarsi con essa, per questo cammina sul labile confine fra reale e realismo, fra il mondo che gli sta intorno, tanto chiaro agli occhi quanto oscuro nelle dinamiche, e quello fruito attraverso la rete, dove, al contrario, la brutale evidenza del contenuto soppianta la chiarezza dell'immagine.
Solo le esperienze dirette della morte e del sesso (accomunate nella visione del sangue) lo portano ad oltrepassare il filtro della videocamera e a cercare di comprendere da sé la realtà che lo circonda e l'ipocrisia del mondo degli adulti dell'Uptown newyorkese. Nel passaggio, anche la riflessione del giovane regista newyorkese si fa più complessa, stratificando, non senza qualche caduta nella sociologia più spicciola, il discorso sulla dissociazione del voyeurismo dei nuovi media con il turbamento adolescenziale e con la corruzione e l'arrivismo dell'istituzione scolastica. Problematiche di varia natura e dalla mole ingombrante, che tuttavia lasciano emergere il filo rosso di una riflessione fondamentale sullo statuto dell'immagine cinematografica: se cioè il cinema sia ancora in grado di competere coi nuovi media nel configurare e veicolare il reale, oppure se sia ormai solo il luogo delle celebrazioni melliflue, delle asperità da lisciare, delle sgranature della realtà da raffinare.